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Toque&Toque, Enoteca Nero d’Avola, tra la 5th Avenue e la Broadway di San Cataldo, F. Pensovecchio, magazine n.8

C’è un momento nel quale nell’appassionato di vini, uomo o donna che sia, scatta un click, un desiderio irrefrenabile di gustare, esplorare, scoprire. È il momento di trovare una bottiglia e tuffarsi nel piacere. Nuova da scoprire o conosciuta da celebrare. Solitamente, nel degustatore avveduto, il piacere intellettuale coincide con quello fisico-gastronomico. Fin qui sembrerebbe tutto facile, tranne che per un dettaglio: il reperimento della bottiglia e conseguente sacrificio della stessa richiede dei complici. 

Giacché le bottiglie non crescono sugli alberi, per compiere questo destino serve qualcuno che le bottiglie le cerchi, le trovi, le conservi e che, alla fine, ne parli e le offra amorevolmente come se si trattassero di sue creature.

Escludendo l’esperienza solitaria e senza emozione della scelta allo scaffale del supermercato, appare chiaro che la figura professionale dell’enotecario è di fondamentale importanza. In enoteca si istaura un rapporto di fiducia nel quale si parla di preparazioni, di gusti, di cucina, di territori, di vinificazione, di invecchiamenti più o meno lunghi e, ovviamente, anche di opportunità e di prezzi. 

È un lavoro meticoloso, senza confini, basato sulla fiducia e sulla interazione tra un pubblico appassionato e il custode di oggetti preziosi.

In questa cornice di riflessioni non posso non pensare a Michele Bonfanti, enotecario presso San Cataldo, un piccolo comune dell’entroterra siculo, limitrofo a Caltanissetta, popolato da (sole) 23.000 anime.

La sua enoteca, incredibile ma vero, è tra le più importanti d’Italia. Basta poco per rendersene conto, la valutazione risiede in poche e semplici considerazioni: per numero di etichette e varietà internazionale di territori rappresentati, la sua enoteca non sfigurerebbe a Manhattan tra la Broadway e la 5th Avenue. Trovare sugli stessi scaffali il Clos du Mesnil 2000 di Krug, uno Château Margaux del 1990, un Loibner Riesling 2009 di Weingut Knoll o un Barbaresco di Gaja, è una gioia che solo appassionati bevitori possono comprendere. È un po’ come avere a disposizione nel garage sotto casa una Ferrari Portofino, una Lamborghini Huracán o una Bugatti Veyron. Con le chiavi sempre appese al cruscotto e al prezzo di noleggio di una Panda del 1988. E a proposito, l’ultima bottiglia che ho bevuto da Michele è un Clos de l’Hermitage 2005 di Jean Alesi. Coincidenze.

La domanda, dunque, è se i sancataldesi fanno (o hanno fatto) qualcosa per meritarsi una enoteca così apprezzabile; e comunque sia, me ne compiaccio. 

Potrei fantasticare di un contributo, non del tutto giustificato, dalla vicina Procura di Caltanissetta, uno degli uffici di Giustizia più frequentati d’Italia;  oppure posso ipotizzare, in maniera decisamente ottimistica, un commercio virtuale talmente rilevante da rimpolpare l’enoteca con siffatte preziose perle. 

Trovo, invece, più probabile che Michele Bonfanti abbia un trasporto passionale e travolgente, una bramosia incontrollata, ovvero un desiderio di possesso talmente viscerale – cosa non infrequente nel vino – mischia a quella follia per la quale San Cataldo è famosa e tale da aver generato uno dei più invidiati collezionisti del Sud-Italia. Oltre ogni normale logica di prezzo o di business. 

Ma queste sono tutte chiacchiere. La verità tangibile è che presso Enoteca Nero d’Avola è possibile cenare al tavolo con una splendida bottiglia di vino al prezzo di una media pizzeria. 

E se il vino non vi convince, o se non vi verrà concesso (il rischio è reale), c’è sempre un sidro di mele o della birra artigianale.