fbpx

Blog

Home#nonsolovino_blogAndrea Vesco: dal protocollo alla politica. Riflessioni su due Tre Bicchieri

Andrea Vesco: dal protocollo alla politica. Riflessioni su due Tre Bicchieri

Diramato il comunicato stampa, compiute le pratiche del rito post riconoscimento, adempiuti tutti i doveri istituzionali, proporrei a tutti gli interessati alcune, non necessariamente interessanti, riflessioni, con l’unico scopo di offrire uno stimolo ad un possibile dibattito consegnando un invito. 

Il doppio tre bicchieri, il riconoscimento enologico italiano più prestigioso in assoluto, assegnato, nella stessa edizione della guida a ben 2 vini su 27, AV01 2021 e Magma 2020, segna, almeno per la compagine enologica regionale, uno spartiacque epocale nella considerazione, valutazione, analisi della produzione vitivinicola e dei singoli produttori.

Le ragioni sono molteplici e ognuna carica di senso, ricca di possibili ricadute tecniche e soprattutto politiche, ne propongo tre: 

  • Riconoscimento dell’establishment della “setta“.                                                                          

I piccoli produttori indipendenti, i produttori dei vini naturali o non convenzionali siciliani, fino a ieri eretici, (io sono piccolo, sono produttore, credo di essere indipendente, non so se eretico, antipatico a molti si, ma non faccio parte della categoria), così come le grandi aziende leader di mercato, ieri, grazie ai riconoscimenti ottenuti su due vini, AV01 e Magma, solo dei simboli, segni di segni, sono stati chiamati, invitati, a superare l’inesistente ma purtroppo da troppo tempo ossessivamente presidiato confine tra quella che viene ritenuta la propria categoria e l’altra.

Ognuno di noi produttori è stato formalmente ieri precettato a superare il proprio limite, chi quello dei generici produttori di vino, di vino convenzionale, di vino e basta, chi quello dei vini naturali, o senza solfiti aggiunti. Il riconoscimento di quella che, a torto o a ragione, viene considerata la bibbia del vino italiano nel mondo, ha definitivamente spezzato gli argini riducendo ad uno due schieramenti. Il premio raccoglie sotto un unico denominatore, con buona pace di chi si considera ancora migliore per principio, e con gaudio di chi vorrebbe tutti sullo stesso piano, accumunati da un unico ideale, quello di fare ogni vendemmia un piccolo passo avanti, tutta l’offerta enologica.

Essere sotto un unico denominatore non significa essere tutti uguali. I tre bicchieri 2024 sono 27, le etichette prodotte sull’isola sono state oltre 5.000, va da sé che le 27 non sono uguali alle restanti 4.973; essere sotto un unico denominatore significa avere riconosciuto l’elemento in comune o meglio non essere irriducibilmente altri, inutilmente in conflitto, superiori o inferiori per rango, per nascita, piuttosto che per merito.

  • Abbandono della fondazione identitaria basata sull’appartenenza e sugli stilemi.

Io sono un produttore di vini naturali, i tuoi vini non lo sono. 

I tuoi vini fanno male, i miei aiutano le arterie a combattere il colesterolo. 

Io appartengo alla categoria dei vignaioli indipendenti, tu ad Assovini. 

Io ho le mani sporche, tu no. 

I miei vini sono orange, i tuoi? 

Io sono Trotskysta forse un po’ hippie, tu abiti le stanze del potere, sei forse democristiano? 

Ed ecco che questo tentativo di emancipazione di nicchia, o meglio di massa, come ogni movimento collettivo basato su appartenenza ed opposizione, finisce per replicare con apparenti differenze, e  su stilemi distintivi che finiscono per soffocare le specifiche identità contraddittorie, nevrotiche non allineate nemmeno a sè stesse, esattamente le stesse logiche corporative ed omologanti del blocco a cui dichiarano di volersi contrapporre, perché sostanzialmente diversi, forti di un determinato primato o vantaggio di cui andare fieri, al di la di ogni possibile critica o giudizio.

  • Recupero del primato del risultato sul produttore. 

I vini, così come i piatti, o qualunque altro prodotto delle capacità e del talento umano, vanno valutati secondo canoni oggettivamente condivisi, destinati inevitabilmente a cambiare nel tempo perché frutto della dialettica natura-cultura propria della specie umana.  

La valutazione è opportuno che parta dalla cosa in sé e non dalla pseudo analisi preliminare del padre/produttore secondo una obsoleta e patriarcale logica del sangue. 

È grazie al confronto tra l’oggetto della valutazione con il modello ideale, frutto esclusivamente di rielaborazione culturale su innata idea, che la misura della distanza/prossimità tra oggetto e modello assurge al rango della valutazione qualitativa condizionante come discrimine tra il più buono ed il meno buono. 

La carta di alluminio dobbiamo mettertela non solo sulle bottiglie quando ne vogliamo valutare il contenuto ma anche sui nostri preconcetti tanto utili a produrre economie di pensiero dunque, garantirci minore fatica nel quotidiano vivere, ma così deleteri alla nostra crescita e al nostro cammino verso l’assoluto, dove ogni cosa sarà singolarmente apprezzata nella sua unicità e tutto nello splendore accecante dell’uno primigenio.