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Home#nonsolovino_blogil grano è una cosa seria; filippo Drago non molla.

il grano è una cosa seria; filippo Drago non molla.

L’Italia è una nazione ricca di paesaggi, culture e tradizioni.
Un Paese in cui i segni della storia sono ancora evidenti, con tracce indelebili nelle zone più vulnerabili: le campagne.
La guerra, l’industrializzazione, la crescita del terziario, la globalizzazione, la crisi dell’agricoltura, l’urbanizzazione, il consumo del suolo, la crisi economica hanno trasformato e in parte sfigurato l’aspetto del nostro territorio.
Sono cambiate le culture e le tecniche agricole, ma prima ancora è cambiata la cultura, con un processo di omologazione che ha impoverito le campagne ed ha espropriato i contadini dei loro saperi e della loro autonomia.

In questo senso riportare sui campi vecchie varietà di grano non è un’operazione di restauro o un richiamo romantico a un passato mitologico.
Significa riuscire ad attivare nuove filiere di produzione, che oggi è una sfida e un atto di resistenza importante.
Vuol dire tornare a fare ricerca, a produrre qualità.

Nonsolovino ha avuto il piacere di conversare e chiedere il parere di Filippo Drago, mugnaio da 29 anni, alla guida dell’Azienda Molini del Ponte, il primo in Sicilia a chiamare le farine con il nome del grano da cui provengono, il primo quindi, ad attribuire ai grani un volto e una tracciabilità., un artigiano che produce con il rigore di un industriale come ci dice lui stesso, in termini di tracciabilità, igiene e qualità delle farine e per il sistema di organizzazione e gestione d’impresa, riconosciuti e certificati da Enti Accreditati.

Purtroppo non si riesce a gestire in modo adeguato l’intero comparto poiché le larghe maglie delle norme di settore oggi vigenti consentono il proliferare di pseudoartigiani che operano inquinando l’integrità del prodotto e l’etica della qualità.

Così esordisce Filippo, e continua, la delusione è sempre in agguato eppure i consumatori hanno un grosso vantaggio: il potere d’acquisto.
Oggi continuiamo a non conoscere il pane che è sulla nostra tavola e in modo forse ancor più amplificato, vale per la pasta, la pizza, le focacce, le torte, i biscotti tradizionali. Possiamo a malapena sapere gli ingredienti, con tutte le omissioni che la legge consente sull’uso di stabilizzanti o additivi.

FILIPPO DRAGO

L’etichetta infatti ci dice dove il prodotto è stato confezionato, quali sono (più o meno) gli ingredienti ma non riuscirà mai a dare un volto a chi lo ha fatto. Non ci parla delle sue scelte, di come ha trattato la terra e dei prodotti che ha usato per coltivare.
Se vogliamo davvero che qualcosa cambi, ci racconta ancora Filippo, occorre educare il consumatore, è lui che deve esigere di conoscere cosa compra, deve pretendere di sapere quali certificazioni ha l’azienda, deve pretendere anche solo di visitare le aziende, così come è possibile fare con Molini Del Ponte, richiedendo visite anche tramite social, basta davvero solo qualche foto.

Dobbiamo andare a ritroso, a monte della filiera. Dobbiamo conoscere il grano. Farlo conoscere già nelle scuole. Dobbiamo fare cultura alimentare.
Perchè un’altra agricoltura è ancora possibile.
Una trasformazione che richiede un’alleanza tra chi produce e chi consuma.
C’è in gioco la nostra salute, la difesa dell’ambiente, la necessità di ridare dignità e riconoscimento al ruolo millenario del coltivatore.

Filippo Drago continuerà a recuperare e salvaguardare i grani antichi, al momento sta lavorando sul territorio di Ustica, in collaborazione con l’azienda agricola Hibiscus, per riscoprire farine alternative. Suo obiettivo quello di ottenere un trasformato, poter standardizzare un prodotto artigianale. Ma non solo farine, prevedo anche l’istallazione di nuovi mulini a pietra funzionanti così da poter creare, dentro Molini del Ponte, un percorso museale, un circuito che consentirà al visitatore di seguire l’itinerario dalla spiga al biscotto.

I grani siciliani maturati al sole portano con sè i profumi del territorio, tutte le erbe spontanee che crescono in campo, come aneto, camomilla, finocchietto selvatico, gli conferiscono un’impronta indelebile e i loro profumi permangono nella farina e arrivano fino alle nostre tavole.

Le farine artigianali vanno bene in cucina per ogni uso anche se ogni grano ha determinate caratteristiche.
Prendiamo ad esempio il Perciasacchi, dal chicco molto allungato, è chiamato così perché quando si trasporta nei sacchi di iuta il chicco buca la stoffa, “la percia”, ha proteine più alte della media e pertanto si presta meglio per la produzione della pasta, molito dà una farina molto chiara, e la pasta ottenuta ha una colorazione giallastra.

La Tumminia o Timilia, coltivata in Sicilia da millenni, è chiamato anche grano marzuolo perché seminato a marzo, un grano con un ciclo di vegetazione molto breve, seminato a marzo mietuto a giugno, considerato un tempo il grano dei poveri, “nero come la miseria”, oggi fortunatamente rivalutato. Un grano dai profumi unici, un chicco molto piccolo in grado di dare origine a una farina molto dolce, è un grano antico che come tanti altri per esaltare i suoi profumi, deve essere molito unicamente a pietra, una molitura antica valorizzata oggi dall’aiuto della tecnica, per ottenere un prodotto curato meticolosamente, con la massima attenzione, una granella assolutamente perfetta.

La ricerca di cose nuove non è altro che riscoprire ciò che si faceva nel passato, non farine nuove ma farine che si erano solo dimenticate.