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Che ne sai tu di un campo di grano?

Quella molitoria è una vera e propria arte, quello del mugnaio un mestiere troppo spesso trascurato, considerato per lo più ovvio, entra grano esce farina. Il mugnaio, invece, racchiude in sé una serie di competenze vastissime: deve essere botanico perché tenuto a conoscere e distinguere la materia prima, i cereali che macina, deve essere chimico e biologo perché gli serve analizzare le materie che usa e i prodotti che crea. E’ artigiano ed imprenditore allo stesso tempo. Tutte queste figure e tanto altro ancora le abbiamo ritrovate nella persona di Filippo Drago, mugnaio di quarta generazione, guru dei grani antichi siciliani.

Grani che oggi, grazie a lui, hanno un nome e un volto. In tutti i sensi.

I sacchi che ti accolgono all’ingresso dei Molini del Pontein via Parini 29 a Catelvetrano, sono, infatti, tutti nominati, non contengono solo l’indicazione geografica della provenienza ma anche nome e cognome del produttore. Tale trasparenza in questo mulino è realmente tangibile.  La stanza a piano terra che accoglie il visitatore e separa l’ingresso dai luoghi di produzione, si compone unicamente di pareti a vetro. File di sacchi disposti ordinatamente e in riga, sono pronti per il vano di carico delle macine. Un perfetto equilibrio tra macine antiche, a pietra, cui si affianca un modernissimo sistema di selezione e pulitura a controllo ottico, capace di scartare le impurità.

E’ lo stesso Filippo a raccontarsi e a raccontarci quanto avviene nei cinque piani dell’ edificio. Ci apre ogni porta, ci racconta la sua storia, una storia che parte dal suo bisnonno, cocchiere marsalese che con i suoi carretti trasportava persone, merci, cibo, tra cui anche grano, una storia che approda al 1966 per cambio generazionale e poi ancora al 1991 anno in cui Filippo raccoglie il testimone di un’importante eredità e, grazie ad un ambizioso progetto dedicato ai grani antichi, ne segna la rinascita.

Non nasconde nulla. Tanto meno il forte entusiasmo e la vitalità che lo contraddistinguono.

La passione per il lavoro è palese quando con estremo trasporto ci mostra i cinque mulini a pietra, fiore all’occhiello della sua attività. La molitura è eseguita con l’impiego di antiche macine francesi di pietra naturale La Fertè che oggi si muovono elettricamente attraverso appositi pannelli solari collocati all’ultimo piano del palazzetto. Un grano bio che viene molito attraverso un’energia naturale. Ci parla di rabbigliatura o scanalatura cioè dell’incisione nella pietra di appositi solchi, allo stesso modo ci parla di grani antichi, delle sue ricerche, di come poche oggi sono le specie che possono fregiarsi di questo titolo, e di come tali varietà risultino più difficili da lavorare e richiedono più delicatezza e non promettono lievitazioni strabilianti del punto di vista volumetrico ma possiedono deliziose specificità a livello di gusto.

Un uomo che attraverso il grano, magari delle varietà dimenticate, vuole comunicare la bellezza della sua terra. Non è un caso che il logo dei Molini del Ponte sia una Trinacria con l’effige di una macina.

Un detto dice “Chi va al mulino s’infarina” ossia quando si ha a che fare con qualcosa, in un modo o in un altro se ne subiranno le conseguenze tuttavia stavolta le conseguenze non possono che essere ulteriore fascino e una nuova curiosità verso un mondo tanto presente quanto lontano nel tempo.