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Prepariamo U Cannistru

Per la “festa dei morti”, come da consuetudine palermitana, ci si appresta a preparare “u’ cannistru”, un ricco cesto composto da dolciumi e frutta secca.

Il cannistru sarà poi riempito dai “pupatelli” semplici biscotti farciti di confetti, dai nucatoli, dai “mustazzuola” che rappresentano le ossa dei morti, dai “taralli” ciambelle biscottate rivestiti di glassa zuccherata e, ancora, da tanti altri dolcetti chiamati “misto siciliano” dove abbondano i “te-tu” biscotti bianchi e marroni, i primi con la velatura di zucchero, i secondi con polvere di cacao.

Il tutto viene decorato con la frutta secca e dall’immancabile frutta di martorana. 

La frutta (di) Martorana è l’emblema della pasticceria siciliana. 

Ha un’origine antichissima e la sua storia è indissolubilmente legata a quella del convento attiguo alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo. La tradizione vuole che nel periodo normanno le monache del monastero benedettino, fondato nel 1194 dalla nobile Eloisa Martorana, abbiano preparato per la prima volta dei dolci a forma di frutto (pare degli agrumi) che hanno poi appeso agli alberi in sostituzione di quelli già colti, al fine di arricchire l’aspetto del loro giardino durante la visita di un personaggio molto importante: un alto prelato o finanche un re. 

Ecco perchè ancora oggi questo dolce a base di mandorle e zucchero porta questo nome.

La frutta martorana è possibile prepararla in due modi, con il metodo a caldo o con quello a freddo. 

Vi diamo di seguito le indicazioni per prepararla a freddo, soluzione a nostro avviso meno “trafficusa”.

  • 1 kg Farina di mandorle
  • 1 kg Zucchero a velo
  • 150 g Glucosio
  • 120 ml Acqua
  • 10 gocce Essenza di mandorla (facoltativo)

 Occorre inoltre 

  • Forme in gesso
  • Colori alimentari
  • Lucido alimentare (facoltativo – se adoperato male rende più amaro il risultato finale)
  • Pellicola trasparente
  • Pennelli
  • Piccioli e foglie

Procedimento: In una ciotola capiente versare la farina di mandorle, lo zucchero a velo e amalgamare bene, il glucosio, l’essenza di mandorle diluita in una parte d’acqua già misurata, e la restante acqua (aggiungetela poca alla volta!). Amalgamare gli ingredienti con le mani e continuare ad impastare su un piano, rendendo il composto omogeneo e liscio. Per comodità separare l’impasto in due parti, e lasciare riposare circa 10 minuti coperto da un canovaccio. Poi manipolarlo e adattarlo ai vari stampini. La pasta di mandorle è oleosa e l’impasto potrebbe restare attaccato ai vari stampini. Per questo è possibile adoperare amido di mais che una volta asciutto pennellerete via o un foglio di pellicola trasparente. Lasciare asciugare almeno 24 ore (a volte ne servono 48) Colorare con in colori alimentari. Lasciare asciugare ancora 24 ore. Preparare il canestro!

Per un canestro davvero completo manca ancora “U pupu ri zuccaru” o a’ pupaccena”: un baldanzoso pupo di zucchero che classicamente raffigura il paladino, figura eroica del teatro popolare ma che oggi inizia ad essere prodotto in forme più “attuali” come ballerine, giocatori del Palermo, personaggi dei cartoni animati o dei fumetti, o ancora la forma della zucca di “Halloween”, tanto per stare al passo con i tempi e le altre culture.

Rigide ed impalate, le dolci statuette di zucchero, tutte decorate, attendono il loro momento, quello di essere addentate festosamente da denti infantili.

Esposte comunemente nelle vetrine delle pasticcerie, specie quelle che osservano le feste popolari, si trovano e vengono vendute soprattutto in piazza, nelle bancarelle dei “turrunara”, bancarelle create per l’occasione, a forma di scale, tutte colorate, durante la tradizionale “fiera dei morti”.

La statuina del pupo di zucchero, tradizionalmente palermitana, ha tuttavia un suo riscontro nella vicina città tunisina di Nabeul. 

Qui, infatti, regalano la statuetta dolce per festeggiare il capodanno islamico e richiamare l’Egira, l’emigrazione del profeta Maometto a Medina, festa unicamente religiosa e familiare. I dolcieri tunisini le preparano nello stesso modo della tradizione palermitana; le due comunità, a loro insaputa, hanno questa affinità, che sicuramente è da riscontrare in un antico fatto commerciale legato all’antica “via dello zucchero” che attraversava il Mediterraneo. 

Nella stessa città sopravvive una comunità ebraica che altrettanto usa confezionare alcuni piccoli “pupi” di zucchero per la festa del “Souòuda”. Questa pratica comune che lega palermitani e tunisini è forse un abitudine tramandata dai nostri marinai che partiti cent’anni fa alla volta di Tunisi, tra il loro armamentario per la pesca portarono con sé l’usanza di fondere lo zucchero per farne “pupi”. 

…Quando un pupo è “da collante” non solo per lo zucchero !