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il corallo a trapani

Fin dalle epoche più remote l’uomo ha subito il fascino del corallo. 

Tutte le civiltà antiche, infatti, hanno attribuito a questo prezioso elemento marino poteri magici e terapeutici, utilizzandolo più a scopi farmacologici e scaramantici che ornamentali. 

Nell’Antico Egitto, scarabei e amuleti di corallo proteggevano il defunto nella sua nuova vita, mentre polvere di corallo veniva sparsa sui campi per propiziare i raccolti. 

Presso i Greci era noto come medicinale e i Romani lo consideravano efficace sia per la cura di diverse malattie che per la protezione dei neonati; nei gioielli, tuttavia, il corallo era poco utilizzato poiché si preferivano le perle. 

Nella simbologia cristiana, il corallo rappresentava il sangue di Cristo, la sua Passione e Resurrezione, e dunque la sua doppia natura, umana e divina.

Un alone di mistero ha sempre circondato il corallo.

Non vi sono certezze neppure sull’etimologia del nome, che secondo alcuni deriverebbe dal greco koraillon, “scheletro duro”, secondo altri dall’arabo garal o dall’ebraico goral, il nome delle pietre utilizzate per gli oracoli in diverse zone del Mediterraneo e del Medio Oriente. 

Incerta è sempre stata anche la classificazione di questa meravigliosa creatura marina, che ha dato origine nel corso dei secoli ad accesi dibattiti tra quanti la ritenevano un minerale e quanti invece, a partire da Plinio il Vecchio, un vegetale. 

Nel Cinquecento e Seicento, a Trapani si affermò una vera e propria lavorazione artistica di questo materiale: la città divenne così l’indiscussa capitale del corallo grazie ai suoi maestri “curaddari”.

Secondo quanto riporta Al-Idrisi, geografo arabo alla corte di Ruggero II, il corallo veniva lavorato in Sicilia già nel XII secolo, e lui stesso nel Il libro di Ruggero elogia la pregiata qualità di quello trapanese. 

Spetta, infatti, ai trapanesi la gloria di avere iniziato per primi in Italia a lavorare il corallo. 

Il trapanese Antonio Ciminello, vissuto nel ‘500, è stato l’inventore del bulino, lo strumento che serve per intagliare e scolpire i preziosi rami rossi. 

La lavorazione del corallo ha rappresentato per la città di Trapani una delle principali attività che ha caratterizzato il tessuto economico del territorio e ha reso la città un porto di riferimento per il commercio di questo preziosissimo elemento naturale tra l’oriente e l’occidente.

I pescatori “corallai” si mettevano in mare alle prime luci dell’alba, con le loro imbarcazioni chiamate “ligudelli”, e andavano, per tutta la stagione della pesca che solitamente era da maggio a settembre, a strappare dai fondali con lo ‘ngegnu, una struttura a croce con delle reti a strascico, i preziosi coralli.

Il capolavoro della natura veniva quindi venduto ai “maestri corallari” che lo pulivano eliminando lo strato arancione, il “cenosarco”, con raschietti in ferro e pietra molare, lo tagliavano quindi con la tenaglia e lo lavoravano con la lima e la mola di pietra, fino a ridurlo in piccoli pezzi o sferette che venivano a loro volta bucate con un trapano detto “fusellino”che consentiva la creazione di gioielli preziosi.

A partire dal ‘400 il corallo divenne un oggetto di spicco che andò ad incrementare il commercio e la produzione di manufatti. 

Venne adoperato per decorare monili in oro, in rame, e il suo successo era sempre crescente tanto che i lavoratori dell’intera filiera del corallo, il 26 maggio 1628, si organizzarono in consolato approvando 25 capitoli con i quali regolamentavano la licenza ad esercitare il mestiere e l’attività di mastri corallari, di mastri scultori e dei lavoranti nell’acquisto del corallo, organizzavano i livelli salariali, definivano il modo di distribuzione e il luogo di vendita.

Le botteghe che sorgevano in quella che un tempo era via dei “Corallari”  oggi via Torrearsa, erano poco più una trentina.

Il vero boom fu intorno al ‘700, quando le richieste di gioielli e ornamenti in corallo provenivano da ogni parte del mondo, da sovrani, principi, cardinali e papi. I manufatti in corallo erano veri e propri capolavori d’arte, preziosi gioielli e oggetti di uso liturgico e domestico come calici, sacri contenitori, personaggi di presepi o dei più semplici portafortuna. 

Il crollo di quest’arte avvenne intorno all’800, periodo in cui il reperimento della materia prima divenne sempre più raro. 

Oggi a Trapani sono rimasti pochi laboratori, si contano sulle dita di una mano, e lì maestri scultori insegnano le tecniche di una volta a coloro che vogliono apprendere questa antichissima arte.

La foto riporta un vecchio frame di un video realizzato per Rallo, “artigiani del vino” in cui il maestro coralliere Platimiro Fiorenza si è gentilmente prestato. Oggi con la sua bottega di Via Osorio 36, è l’ultimu mastru curaddaru, custode di una tradizione secolare, tanto che, nel dicembre del 2004, ha ricevuto il premio come conservatore, attraverso l’insegnamento della lavorazione dei coralli, da parte del Club UNESCO di Trapani.