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Un cannolo

Un cannolo.
Non lo prendiamo mai; è sempre esageratamente grande con tutta quella opulenza zuccherosa. Ed ecco, per una volta, non saltiamo sulla carta la riga riservata al cannolo.
Ma quello intero, sia bene inteso, lo scomposto non siamo mai riusciti a comprenderlo veramente.
“E per lei?”
“Un cannolo, grazie.”
E’ difficile ordinarlo, una tale montagna di beatitudine semplice.
Il cameriere prende nota con obiettività deferente, ma ci sentiamo ugualmente imbarazzati.
C’è un che di infantile in questo desiderio totale che non è suffragato da nessuna morale dietetica, da nessuna riluttanza estetica.
Il cannolo per noi siciliani, è golosità provocante e puerile, appetito allo stato brado.
Ovunque attorno a noi vediamo dolci striminziti serviti in minuscoli piattini; il cannolo è immenso, è piacere terra terra. Una scorza croccante riempita da ricotta, sapientemente lavorata con lo zucchero, e l’arancia candita o due ciliegine completano la guarnizione ricca anche di zucchero a velo.
Migliaia di persone muoiono di fame sulla terra. E’ un’idea recepibile, a rigore, davanti a un quadratino di cioccolato. Ma come affrontarla davanti a un cannolo? Con quella meraviglia sotto il naso non abbiamo quasi più fame. Per fortuna arriva il rimorso. Ti permette lui di venire a capo di tanta dolcezza. Come da bambini si rubava la cioccolata dalla credenza della nonna, si carpisce al mondo degli adulti un piacere indecente, condannato dal codice – si fa un peccato, fino all’ultimo morso.